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Santi del 4 Dicembre

Il mio Santo > I Santi di Dicembre

*Sant'Ada (Adreilde) di Le Mans (4 dicembre)

Etimologia: Ada = ornamento, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Le Mans in Neustria, ora in Francia, Santa Adreílde o Ada, badessa del monastero di Santa Maria.
È ricordata in documenti assai tardivi e fortemente sospetti.
Secondo i Gesta Aldrici del sec. IX, Aldrico, vescovo di Le Mans dall'832 all'857, volendo rinnovare il culto di molti Santi della sua diocesi, ne trasferì le reliquie nella cattedrale.
Tra queste reliquie sarebbe stato anche il corpo di Ada, abbadessa benedettina del monastero di Santa Maria nei sobborghi di Le Mans, della quale i Gesta dicono che era probabilmente originaria di
Soissons, passata poi a Le Mans per invito del vescovo Innocenzo, morto nel 553.
Secondo questo documento, dunque, la santa sarebbe del sec. VI.
Gli Actus riportano due privilegi del vescovo Agliberto indirizzati all'abbadessa di Santa Maria di Le Mans, uno del gennaio 683, un altro del 9 luglio 692.
Nel primo, però, l'abbadessa è chiamata Adreilde, nel secondo Ada.
Nel testamento di Agliberto, poi, datato all'anno 700, l'abbadessa, che è detta sua parente, è chiamata di nuovo Adreilde.
Ma la data del testamento è certamente falsa, poiché il vescovo Agliberto era già morto nel 700.
Questa diversità di nomi ha fatto pensare che Ada e Adreilde siano due diverse persone.
Il problema non è, allo stato attuale dei documenti, risolvibile.
É certo, però, che nel sec. IX in diocesi di Le Mans si venerava una Santa Ada o Adreilde; il suo culto, però, rimase sempre locale e non ha lasciato eco nei libri liturgici.
Le reliquie di Ada, conservate nella cattedrale di Le Mans insieme con quelle di San Giuliano dall'epoca di Aldrico, furono profanate dagli Ugonotti.
La festa della santa è collocata da alcuni al 28 giugno, da altri al 4 maggio o al 4 dicembre, come fanno certi vecchi calendari.
(Autore: Renè Wasselynck - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Ada di Le Mans, pregate per noi.

*Beato Adolfo Kolping - Sacerdote, Fondatore (4 dicembre)
Kerpen (Colonia), 8 dicembre 1813 – Colonia, 4 dicembre 1865
Adolph Kolping da calzolaio si fece sacerdote e da vero "padre dei lavoratori artigiani" fondò un'opera, Kolpingwerk, diffusa in tutto il mondo con centinaia di migliaia di membri.
Nato nel 1813 a Kerpen (vicino Colonia) da famiglia di pastori, esercitò il mestiere di ciabattino in giro per la Germania. Poi riprese gli studi interrotti e fu ordinato prete a Colonia.
Fu destinato alla zona industriale di Wuppertal e divenne assistente della locale società dei giovani lavoratori. Nel 1835 fondò la prima casa di assistenza e di insegnamento professionale. Morì a Colonia nel 1865. È beato dal 1991. (Avvenire)
Etimologia: Adolfo = nobile lupo, dal tedesco
Martirologio Romano: A Colonia in Germania, Beato Adolfo Kolping, sacerdote, che, mosso da fervida carità per i problemi dei lavoratori delle fabbriche e per i temi della giustizia sociale, fondò un’associazione di giovani operai e la diffuse in molti luoghi.
Partito dalle condizioni disagiate della sua famiglia, con i suoi sforzi, volontà e capacità, diventò un personaggio di livello mondiale, fino a raggiungere l’onore degli altari come Beato della Chiesa
Cattolica.
Adolph Kolping, quarto dei cinque figli di Peter Kolping e Anna Maria Zurheyden, nacque a Kerpen (Colonia) in Germania l’8 dicembre 1813.
Il padre era un pastore e piccolo agricoltore e nonostante il duro lavoro, a stento riusciva a mantenere la famiglia; ma volle a tutti i costi che i figli avessero una istruzione seppur elementare.
Dopo aver frequentato la scuola elementare, Adolph non ancora tredicenne, fu costretto ad andare a lavorare presso un calzolaio di Kerpen, successivamente lavorò come ragazzo di bottega, presso altri laboratori artigiani del circondario.
Finalmente riuscì ad entrare come operaio fisso in una calzoleria di Colonia; era un posto molto ambito nella miseria dell’epoca, ma Adolph Kolping ricorderà soprattutto l’ambiente dissoluto e indifferente in cui vivevano i ragazzi di bottega della Germania di quel periodo.ù
Nonostante tutto, in lui maturò fermamente la vocazione sacerdotale e dal 1837 a 24 anni, aiutato da alcuni sacerdoti benefattori, prese a frequentare il Margellen-Gymnasium di Colonia, dove nel 1841 conseguì la maturità classica; nello stesso 1841 si iscrisse alla Facoltà di Teologia di Monaco di Baviera, passando poi a quella di Bonn.
Fu ordinato sacerdote il 13 aprile 1845 a Colonia nella chiesa dei Minoriti, aveva 32 anni. Ebbe subito l’incarico di cappellano e catechista nella parrocchia di S. Lorenzo, nella città industriale di Elberfeld (Wuppertal) dove i cattolici erano una minoranza, qui poté conoscere più approfonditamente il mondo del lavoro specie artigianale.
“L’artigianato e la classe operaia in genere, in fondo sono migliori di quanto solitamente si creda e l’accesso al loro cuore è più facile che altrove”.
A Elberfeld, padre Adolph Kolping conobbe l’Associazione di artigiani (Gesellenverein) fondata da Johann Gregor Breuer (1821-1897); l’esperienza come assistente religioso in questa comunità, cattolica, pedagogica e culturale, unitamente alla sua personale esperienza di ex artigiano calzolaio e conoscenza delle problematiche del modo del lavoro, gli diede l’impulso a realizzare un progetto più vasto e dinamico a favore del modo giovanile artigiano.
Nell’autunno del 1846, fondò il primo “Gesellenverein” (Casa di assistenza e di insegnamento professionale) del quale nel 1847 divenne preside.
Un anno dopo, nel 1848 scrisse il suo opuscolo “Il Gesellenverein.
All’attenzione di quanti hanno a cuore l’autentico bene del popolo”; il motto dell’Associazione era “Pregare, imparare, lavorare, con serietà, ma anche in allegria”.
Passato all’ufficio di viceparroco del Duomo di Colonia, fondò il 6 maggio 1849 anche qui un “Gesellenverein”, che poi diventò il centro mondiale di tutte le organizzazioni di giovani operai, di cui divenne Presidente, come pure lo fu di tutte le numerose associazioni da lui fondate in seguito.
Gli scopi culturali del Kolping erano: il cristiano impegnato, l’artigiano valente, il buon padre di famiglia e il cittadino responsabile; animato da un grande amore per gli artigiani, esercitò con loro un’intensa attività non solo caritativa, ma anche evangelizzatrice, interessandosi della pastorale di tutto il mondo del lavoro.
Fu anche apostolo nel giornalismo, fondò e diresse per molti anni i settimanali “Rheinische Volksblätter” e “Volkskalender” a sfondo popolare e abbastanza diffusi; con l’edizione di calendari e riviste sotto il motto “Religione e lavoro sono il terreno aureo del popolo”, non solo esercitava un’opera di educazione e di pastorale, ma riusciva anche a garantire l’introito economico per sostenere l’opera dei ‘Gesellenverein’.
Con le sue stampe riuscì a raggiungere un vasto pubblico, specie nelle classi sociali dalle quali provenivano i suoi giovani apprendisti artigiani;
Adolph Kolping fu molto stimato dal popolo, dai vescovi e dallo stesso Papa Pio IX, che in una udienza gli regalò una preziosa pianeta.
L’esercizio simultaneo di tre professioni al servizio della Chiesa e della società (vicario del Duomo, preside generale dei Gesellenverein, giornalista ed editore), unitamente alla sua scarsa salute fin dalla giovane età, lo estenuarono, e consumato dalle fatiche, dopo appena venti anni di sacerdozio, si spense santamente a Colonia il 4 dicembre 1865 a soli 52 anni.
Lasciò una comunità di 24.000 soci in 400 località; il 20 aprile 1866 il re di Prussia Guglielmo I, autorizzò il trasferimento dei suoi resti mortali dal cimitero alla Minoritenkirche di Colonia, la chiesa da lui prediletta in tutta la sua vita; il sepolcro è diventato meta di pellegrinaggi provenienti da tutto il mondo.
Padre Adolfo Kolping, è stato proclamato Beato da Papa Giovanni Paolo II, il 27 ottobre 1991.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Adolfo Kolping, pregate per noi.

*Sant'Annone di Colonia - Vescovo (4 dicembre)

Martirologio Romano: Nel monastero di Siegburg nella Renania, in Germania, Sant’Annone, vescovo di Colonia, che, uomo di valoroso ingegno, fu tenuto in grande onore, al tempo dell’imperatore Enrico IV, tanto nella Chiesa quanto nelle vicende civili e pose mano alla fondazione di molte chiese e monasteri per accrescere la fede e la pietà.
Figlio di un piccolo nobile di Svevia (1010-1075) fu istruito alla scuola episcopale di Bamberga, dove eccelse in erudizione, eloquenza, e nel comportamento, facendosi notare dall'imperatore Enrico III, che lo nominò suo cappellano. Nel 1056, all'età di quarantasei anni, fu eletto arcivescovo di Colonia e cancelliere del sacro romano impero, con molte responsabilità e doveri secolari.
Era un periodo turbolento per quanto riguarda le questioni politiche ed ecclesiastiche, e i diciotto anni di Annone come vescovo furono difficili. I cittadini di Colonia si opposero alla sua nomina perché
ritenevano che non fosse di origini sufficientemente elevate per governarli. Divenne per un periodo reggente e tutore del giovane imperatore, Enrico IV, che però non aveva simpatia per lui e, una volta raggiunta la maturità, tenne Annone al di fuori dei pubblici affari.
Sebbene Annone guidasse i vescovi germanici a sostegno di papa Alessandro II contro l'antipapa Cadalo di Parma (Onorio II), papa Alessandro dubitò della sua lealtà. Fu chiamato a Roma, accusato di avere avuto contatti segreti con Cadalo, e poi di simonia.
Come molti vescovi del tempo era incline a distribuire liberamente benefici ai parenti e ai sostenitori. I maggiori problemi giunsero quando nominò suo nipote Corrado vescovo di Treviri; il popolo aveva un diritto canonico di eleggere il suo vescovo, e quando Annone mandò Corrado con una guardia armata, vi fu opposizione.
Corrado fu imprigionato e poi ucciso. A dispetto di una certa sconsideratezza politica, Annone fu un arcivescovo coscienzioso e retto che non permise mai che i doveri e le attività secolari lo portassero a disinteressarsi del benessere della sua diocesi. Riformò rigorosamente i monasteri e ne istituì di nuovi. Ricostruì e ingrandì un certo numero di chiese; inoltre alzò il livello della morale pubblica e donò grosse somme di denaro in elemosina.
Non riuscì mai a vincere l'opposizione di Colonia, cosa che lo angustiò molto negli ultimi anni di vita; alla fine si ritirò nell'abbazia di Siegburg, che aveva fondato di persona, dove trascorse gli ultimi dodici mesi in rigorosa penitenza.
La maggioranza degli eventi della vita di Annone appartengono alla tormentata e complicata storia politica del suo tempo, ed egli fu canonizzato (1136 circa) per l'energia dedicata alla riforma della sua diocesi e per l'austerità della vita privata.
(Autore: Alban Butler - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Annone di Colonia, pregate per noi.

*Sant'Apro (4 dicembre)

Martirologio Romano: Presso Vienne nella Gallia lugdunense, ora in Francia, Sant’Apro, sacerdote, che, lasciata la patria, si costruì una celletta e si ritirò ad una vita di solitudine e di penitenza.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Apro, pregate per noi.

*Santa Barbara - Martire (4 dicembre)

sec. III
Nacque a Nicomedia nel 273. Si distinse per l'impegno nello studio e per la riservatezza, qualità che le giovarono la qualifica di «barbara», cioè straniera, non romana. Tra il 286-287 Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, oggi in provincia di Rieti, al seguito del padre Dioscoro, collaboratore dell'imperatore Massimiano Erculeo. La conversione alla fede cristiana di Barbara provocò l'ira di Dioscoro.
La ragazza fu così costretta a rifugiarsi in un bosco dopo aver distrutto gli dei nella villa del padre. Trovata, fu consegnata al prefetto Marciano. Durante il processo che iniziò il 2 dicembre
290 Barbara difese il proprio credo ed esortò Dioscoro, il prefetto ed i presenti a ripudiare la religione pagana per abbracciare la fede cristiana. Questo le costò dolorose torture. Il 4 dicembre, infine, fu decapitata con la spada dallo stesso Dioscoro, che fu colpito però da un fulmine. La tradizione invoca Barbara contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa. I suoi resti si trovano nella cattedrale di Rieti. (Avvenire)
Patronato: Architetti, Minatori, Moribondi, Fucili e polvere da sparo, Vigili del Fuoco
Etimologia: Barbara = straniera, dal greco
Emblema: Palma, Torre
Martirologio Romano: A Nicomedia, commemorazione di Santa Barbara, che fu, secondo la tradizione, Vergine e Martire.
Esistono molte redazioni in greco e traduzioni latine della passio di Barbara; si tratta, però, di narrazioni leggendarie, il cui valore storico è molto scarso, anche perché vi si riscontrano non poche divergenze.
In alcune passiones, infatti, il suo martirio è posto sotto l’impero di Massimino il Trace (235 – 38) o di Massimiano (286 – 305), in altre, invece, sotto quello di Massimino Daia (308 –13).
Né maggiore concordanza esiste sul luogo di origine, poiché si parla di Antiochia, di Nicomedia e, infine, di una località denominata “Heliopolis”, distante 12 miglia da Euchaita, città della Paflagonia.
Nelle traduzioni latine, la questione si complica maggiormente, perché per alcune di esse Barbara sarebbe vissuta nella Toscana, e, infatti, nel Martirologio di Adone si legge: “In Tuscia natale sanctae Barbarae virginis et martyris sub Maximiano imperatore”.
Ci si trova, quindi, di fronte al caso di una martire il cui culto fino all’antichità fu assai diffuso, tanto in Oriente quanto in Occidente; invece, per quanto riguarda le notizie biografiche, si possiedono scarsissimi elementi: il nome, l’origine orientale, con ogni verisimiglianza l’Egitto, e il martirio.
La leggenda, poi, ha arricchito con particolari fantastici, a volte anche irreali, la vita della martire: si tratta di particolari che hanno avuto un influsso sia sul culto come sull’iconografia.
Il padre di Barbara, Dioscuro, fece costruire una torre per rinchiudervi la bellissima figlia richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di consacrarsi a Dio.
Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d’acqua vicino alla torre e vi si immerse tre volte dicendo: “Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Per ordine del padre, la torre avrebbe dovuto avere due finestre, ma Barbara ne volle tre in onore della SantissimaTrinità.
Il padre, pagano, venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, decise di ucciderla,
ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire.
Nuovamente catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente.
Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito; poi, visti inutili i tentativi, ordinò di tormentarla avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla sanguinare in ogni parte.
Durante la notte, continua il racconto seguendo uno schema comune alle leggende agiografiche, Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata.
Il giorno seguente il prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture: sulle sue carni nuovamente dilaniate fece porre piastre di ferro rovente.
Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti cristiani, venne associata al martirio: le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero quasi subito.
Barbara, portata ignuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante l’ordine di flagellazione.
Finalmente, il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso che eseguì la sentenza.
Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò completamente il crudele padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri.
L’imperatore Giustino, nel sec. VI, avrebbe trasferito le reliquie della martire dall’Egitto a Costantinopoli; qualche secolo più tardi i veneziani le trasferirono nella loro città e di qui furono recate nella chiesa di S. Giovanni Evangelista a Torcello (1009). Il culto della martire fu assai diffuso in Italia, probabilmente importato durante il periodo dell’occupazione bizantina nel sec. VI, e si sviluppò poi durante le Crociate.
Se ne trovano tracce in Toscana, in Umbria, nella Sabina. A Roma, poi, secondo la testimonianza di Giovanni Diacono (Vita, IV,89), San Gregorio Magno, quando ancora era monaco, amava recarsi a pregare nell’oratorio di Santa Barbara.
Il testo, però, ha valore solo per il IX sec.; comunque, è certo che in questo secolo erano stati costruiti oratori in onore di Barbara, dei quali fa testimonianza il Liber Pontificalis (ed. L. Duchesne, II, pp. 50, 116) nelle biografie di Stefano IV (816-17) e Leone IV (847-55).
Barbara è particolarmente invocata contro la morte improvvisa (allusione a quella del padre, secondo la leggenda; in seguito la sua protezione fu estesa a tutte le persone che erano esposte nel loro lavoro al pericolo di morte istantanea, come gli artificieri, gli artiglieri, i carpentieri, i minatori; oggi è venerata anche come protettrice dei vigili del fuoco.
Nelle navi da guerra il deposito delle munizioni è denominato “Santa Barbara”.
La festa di Barbara è celebrata il 4 dicembre.
(Autore: Gian Domenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Barbara, pregate per noi.

*San Bernardo di Parma - Vescovo (4 dicembre)

Firenze, 1060 c. - Parma, 4 dicembre 1133
Nato intorno al 1060 a Firenze dalla nobile famiglia degli Uberti, Bernardo ereditò vasti possedimenti che donò a parenti, amici e al monastero cittadino di San Salvi, dove giovanissimo entrò nell'ordine Vallombrosano. Divenne abate e in seguito generale della congregazione.
Sotto di lui essa si sviluppò in Emilia e Lombardia. Urbano II lo creò cardinale, lo fece vicario pontificio in Alta Italia e legato a Canossa nei domini di Matilde. Si adoperò per dirimere molte contese.
Vescovo di Parma per 30 anni, vi morì nel 1133. I Vallombrosani lo considerano «terzo padre» con Benedetto e Giovanni Gualberto. (Avvenire)
Patronato: Parma
Etimologia: Bernardo = ardito come orso, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Parma, San Bernardo, vescovo, che da monaco si dedicò sempre alla perfezione di vita, da cardinale al bene della Chiesa e da vescovo alla salvezza delle anime.
Bernardo nacque intorno al 1060 a Firenze dalla nobile e ricca famiglia, che nel secolo successivo prenderà il nome degli Uberti, alla morte del padre divenne erede e padrone di vasti possedimenti. Giovanissimo entrò nell’Ordine Vallombrosano, facendo la sua professione nel monastero di S. Salvi in Firenze.
Sono documentate al 1° luglio del 1085 tutta una serie di consistenti donazioni, con cui Bernardo a causa del suo stato di monaco, si libera dei suoi beni donandoli a parenti, amici e allo stesso monastero.
Divenne abate di S. Salvi e poco dopo abate generale della congregazione a Vallombrosa; sotto il suo governo l’Ordine ebbe un grande sviluppo, uscendo fuori dai confini toscani e allargandosi in Emilia e Lombardia con autorità abbaziale fortemente centralizzata, autorità ribadita in uno dei primi capitoli nel marzo 1100.
Il Papa Urbano II lo creò cardinale confermando così l’importanza dell’abate maggiore; con il titolo ricevuto, aumentarono anche gli impegni di Bernardo, come vicario pontificio in Alta Italia e come artefice di azioni pacificatrici in Emilia e Lombardia, centri della critica situazione ecclesiastica di quel tempo.
I documenti testimoniano il suo itinerare a Milano, Monza, Pavia, Brescia, Modena, Mantova, in particolare nei domini della contessa Matilde di Canossa, presso cui divenne legato pontificio e grazie alle sue mediazioni, la contessa il 17 novembre 1102, rinnovò la donazione di tutti i suoi beni alla Santa Sede.
Solo a Parma, Bernardo trovò resistenza alla sua opera, infatti il 15 agosto 1104, mentre parlava al popolo nella cattedrale, vi fu un tumulto e venne aggredito e imprigionato, per liberarlo dovettero intervenire le truppe della contessa, ma due anni dopo la situazione era totalmente cambiata al punto che Parma chiese come vescovo proprio Bernardo; così il Papa Pasquale II, nel novembre del 1106, consacrò la nuova cattedrale e consacrò il legato pontificio, che ponendo la sua sede a Parma, faceva diventare la città centro dell’azione di riforma dell’Alta Italia.
Mantenne questo doppio incarico per alcuni anni ancora, almeno fino al 1109, per diventare poi solo vescovo ‘ecclesiae Parmensis’. Comunque lo si vide sempre impegnato nelle grandi controversie dell’epoca, come nella lotta per le investiture, che nel 1111 ebbe la sua forma più acuta; partecipò alla conferenza imperiale nella sagrestia di S. Pietro, ma poi fu fatto arrestare insieme al papa da Enrico V. La riforma monastica rimase per lui il maggiore impegno e pur essendo vescovo di Parma, continuò a vestire e vivere come monaco, tenendo vita in comune con i monaci, che fin dall’inizio del suo episcopato, volle presso di sé e avendo dovuto rinunciare ad essere abate, rimase sempre legato ai suoi vallombrosani, ottenendo per loro un privilegio di protezione imperiale.
Fu coinvolto ancora nella difficile successione del defunto imperatore, appoggiando il candidato del papa Onorio II; alcuni incarichi di fiducia papale, gli procurarono altra prigionia e un lungo allontanamento dalla diocesi. Nella scisma del 1130, che vide opposti papa Innocenzo II e l’antipapa Anacleto II, si schierò con tutti i vallombrosani con Papa Innocenzo, seguito anche dai camaldolesi.
Ormai vecchio di età e malato, accolse a Verona l’imperatore Lotario e l’accompagnò a Roma per l’incoronazione; morì a Parma il 4 dicembre 1133.
La devozione dei fedeli di Parma, circondò subito la sua tomba, i pellegrinaggi si susseguirono e molti miracoli si avverarono, al punto che il suo successore Lanfranco alla vigilia del sesto anno dalla sua morte (3 dicembre 1139, procedette, secondo la prassi dell’epoca alla sua canonizzazione, con la solenne “elevatio” delle reliquie. La sua festa fissata al 4 dicembre, è già inserita nel più antico calendario di Parma del secolo XIII. Nella Congregazione Vallombrosana, il culto venne inserito nel secolo XIII e lo si invoca come ‘terzo padre’ accanto a San Benedetto e San Giovanni Gualberto, fondatore del ramo benedettino di Vallombrosa. Gli artisti nei secoli successivi, l’hanno raffigurato in dipinti, affreschi e sculture in tutte le città emiliane e lombarde, il cui culto continua tuttora, specie a Parma di cui è il patrono principale.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Bernardo di Parma, pregate per noi.

*San Cristiano - Vescovo (4 dicembre)

Prussia (Germania), XIII sec. – Sulejow (Polonia), 4 dicembre 1245
Etimologia: Cristiano = seguace di Cristo
Si tratta di un monaco cistercense, (Ordine religioso sviluppatesi dal 1112 con San Bernardo di Chiaravalle), che proveniente da un monastero tedesco situato in Polonia, si trasferì in Prussia insieme a Goffredo, abate di Sekno, per evangelizzare quelle popolazioni ancora pagane.
La Prussia, regione storica della Germania settentrionale, formava prima del 1945 il più vasto Land del Paese; Cristiano venne nominato vescovo missionario da papa Innocenzo III (1198-1216) e quindi consacrato a Roma nel 1215, diventando così il primo vescovo della Prussia.
Ottenne dal duca Corrado di Massovia la concessione del Kulmerland come territorio indipendente,
dove si adoperò per costituirvi un clero locale; fondò anche l’Ordine dei Fratelli Cavalieri di Cristo di Dobrin, ma non conseguì grandi successi missionari.
Allora chiamò in suo aiuto l’Ordine Teutonico, (Ordine cavalleresco militare fondato ad Acri nel 1191, durante le Crociate) che in quel tempo, lottando contro gli Slavi, imponeva la sua influenza su vasti territori baltici e che riuscì a dominare i prussiani.
La Prussia così dal XIII secolo divenne feudo dell’Ordine Teutonico, fino al 1525 quando fu secolarizzata durante la riforma Protestante. Mentre i cavalieri Teutonici intendevano sottomettere e germanizzare i prussiani, il vescovo Cristiano cercava di evangelizzarli conservandone invece l’indipendenza.
Ma nel 1233-38 rimase prigioniero dei pagani e allora i Teutonici con l’appoggio della Santa Sede, riuscirono a dividere nel 1243, il territorio missionario in quattro diocesi; quando venne liberato, Cristiano si ritirò in un monastero cistercense, molto probabilmente quello polacco di Sulejow, dove morì il 4 dicembre 1245, senza rinunziare alla sua idea di libertà per i prussiani. È considerato nei menologi cistercensi e benedettini come santo e viene celebrato il 4 dicembre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Cristiano, pregate per noi.

*Eracla di Alessandria - Vescovo (4 dicembre)

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, Sant’Eracla, vescovo, che, discepolo di Origene, nonché suo compagno e successore nella scuola, rifulse di grande fama e fu eletto alla guida di questa sede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Eracla di Alessandria, pregate per noi.

*San Felice di Bologna – Vescovo (4 dicembre)

397? - 432
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Bologna, San Felice, vescovo, che era stato diacono della Chiesa di Milano sotto Sant’Ambrogio.
San Felice, settimo vescovo di Bologna (397? - 432), precede immediatamente San Petronio. Già diacono della Chiesa di Milano, è ricordato da Paolino nella Vita di Sant'Ambrogio.
Dall'epistolario ambrosiano apprendiamo che fu scelto per una delicata missione presso l'imperatore Teodosio nel 394: "Meritatamente a portare la mia lettera ho spedito il diacono Felice, mio figlio, affinché sostenga anche le mie veci e presenti un memoriale per quelli che hanno ricorso alla Chiesa madre chiedendo misericordia della vostra pietà"
(Ep. 62,3, in: PL 16,1239).
La sua morte si fa risalire al 4 dicembre 432. Il suo capo è venerato nella Cattedrale, ove fu posto dal card. Gabriele Paleotti nel 1586.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Felice di Bologna, pregate per noi.

*Beati Francesco Galvez, Girolamo de Angelis e Simone Yempo (4 dicembre)

Martirologio Romano: In località Edo in Giappone, beati martiri Francesco Gálvez, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, Girolamo de Angelis, sacerdote, e Simone Yempo, religioso, entrambi della Compagnia di Gesù, dati al rogo in odio alla fede.

Martiri nel Giappone
Francesco nacque in Spagna (a Utíel, vicino a Valencia) nel 1567, e si uni ai frati minori dell'Osservanza a Valencia nel 1591 all'età di ventiquattro anni. Fu inviato prima a Manila e poi, come membro di una missione, in Giappone. Alla morte di S. Francesco Saverio (3 dic.) nel 1551, altre missioni avevano portato avanti il suo lavoro in Asia orientale e sudorientale. In questo periodo, quando l'Inquisizione era al culmine della sua attività in Spagna, si credeva fondamentalmente che tutti coloro che morivano senza essere stati battezzati (anche se si erano avvicinati alla fede) sarebbero stati dannati, perciò i missionari sentivano che il proselitismo era loro dovere, anche in condizioni di estremo pericolo personale.
Sembra che il pericolo in Giappone sia stato localizzato e intermittente, in questo periodo; i capi guerrieri giapponesi locali erano assai indipendenti dal controllo centrale: il governo imperiale tradizionale del periodo medievale non fu ristabilito fino al 1868, e ciò significava che l'accoglienza dei missionari, come S. Francesco Saverio, variava. In alcune zone vi era il rischio di essere uccisi o cacciati, in altre potevano costruire chiese, ma esisteva sempre il rischio di uno scoppio di violenza improvviso contro l'influenza straniera. Durante uno dei periodi di persecuzione, Francesco Galvez fu costretto a far ritorno a Manila per una volta; i resoconti narrano che "si annerì" il viso per poter essere scambiato per giapponese e ritornare in Giappone. L'arrivo di un individuo con le caratteristiche simili a quelle di un nero africano, nel Giappone del primo xvii secolo, avrebbe ovviamente suscitato un immediato e forte sospetto.
Presumibilmente questo racconto risale ai giorni in cui pochissime persone in Europa avevano effettivamente visto i giapponesi, o sapevano che non assomigliavano agli africani; forse questo contribuisce a far capire quanto i primi missionari si avventurassero nell'ignoto: non avevano conoscenze riguardo i popoli, le religioni o culture orientali, solo la determinazione di salvare anime.
Francesco continuò il suo ministero con coraggio e fervore finché fu arrestato dalle autorità; nel 1614, quando il Giappone si staccò completamente dal resto del mondo, tutti i missionari furono espulsi, imbarcati su quattro navi che lasciarono Nagasaki a novembre di quell'anno, tre dirette a Macao e una a Manila. Tutti i conventi furono confiscati, le chiese distrutte o profanate, e cominciarono le ricerche di eventuali missionari nascosti; tuttavia i sacerdoti continuarono a svolgere il loro ministero segretamente, con l'appoggio leale e coraggioso dei cattolici giapponesi, perciò vi furono molti martiri.
Simone Yempo, un monaco buddista divenuto cattolico e catechista laico, fu arrestato insieme con Francesco Galvez, ed entrambi furono arsi sul rogo a Yeddo nel 1623; nello stesso anno, Girolamo de Angelis, monaco gesuita, fu martirizzato a Tokyo. I tre martiri furono beatificati nel 1867.

(Fonte: I Santi del giorno)
Giaculatoria - Beatii Francesco Galvez, Girolamo de Angelis e Simone Yempo, pregate per noi.

*San Giovanni Calabria (4 dicembre)

Verona, 8 ottobre 1873 - Verona, 4 dicembre 1954
È il 1900. In una nebbiosa sera di novembre, Giovanni Calabria, giovane studente veronese di teologia, scorge un mucchietto di stracci in un anfratto del portone: è un piccolo zingarello costretto a elemosinare e portare ogni giorno una certa somma per sfuggire a botte e soprusi; non sapendo dove altro rifugiarsi, cerca - come può - di difendersi dal freddo. È un disperato come tanti, uno di quelli per cui non esiste la parola futuro.
Giovanni lo porta nella sua casa e lo affida alla madre, abituata a condividere la generosità del figlio. Quella notte non riesce però a prendere sonno, e gli nasce l'idea di pregare, ma soprattutto di lottare per opporsi a ingiustizie come questa. Lo farà per oltre 50 anni, promuovendo tramite la fondazione dell'Opera Don Calabria, attività di assistenza presenti in ben 12 nazioni e 4 continenti.
Nato l'8 ottobre 1873 e ordinato sacerdote nel 1901, Giovanni Calabria morirà il 4 dicembre 1954, a 81 anni.
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Verona, San Giovanni Calabria, sacerdote, che fondò la Congregazione dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza.
Prete semplice ma particolarmente deciso è stato don Giovanni Calabria. Volle essere strumento di
Dio e della chiesa; dovette affrontare difficoltà e superare ostacoli e negli ultimi anni della sua vita fu afflitto da intensi e dolorosi mali fisici. Ma la sua volontà rimase sempre ferma.
Era nato nel 1873 a Verona. A 13 anni perdette il padre e la sua vita conobbe un'estrema miseria. Grazie ad un sacerdote che volle stargli vicino, fu in grado di studiare, superare gli esami e frequentare, come esterno, il seminario. Dopo una breve parentesi di servizio militare ritornò al seminario.
Nel 1901 fu ordinato sacerdote; fino al 1907 rimase di aiuto nella parrocchia della città dedicata a Santo Stefano. Nel 1907 iniziò la sua "opera" fondando la "Casa dei Buoni Fanciulli". Il suo scopo era raccogliere "i bisognosi" ovunque e comunque si trovassero: non lo impensierivano le difficoltà economiche, né badava alle capacità intellettuali, ma si preoccupava di offrire a ciascuno l'aiuto di cui percepiva il bisogno.
Attorno alla sua opera cominciarono a raccogliersi alcuni sacerdoti; nel 1910 istituì il ramo femminile, fondando le "Povere Serve alla Divina Provvidenza". Nel 1919 avviò una seconda casa: le sue attività assistenziali cominciavano a espandersi.
Nel 1933 costruì a Negrar (Verona) un grandissimo e moderno ospedale e una casa di riposo per anziani.
Nel 1934 estese ancor più la sua opera mandando missionari in India. Ma questa missione non diede i frutti sperati: "Per circa un anno le cose procedettero bene: i fratelli erano contenti, i superiori della missione pure; scrivevano elogiandone lo spirito di pietà e di abnegazione e ne chiedevano altri e, possibilmente, almeno un sacerdote. Poi ci furono difficoltà inevitabilmente d'ambiente, scoppiò la complicazione della guerra italo-abissina, mentre in seno alla stessa congregazione si era ormai maturata la delicata situazione che provocò la visita apostolica... Il visitatore, infatti, vagliata la situazione delle missioni, decise di richiamare i fratelli in patria".
Personalmente non intraprese lunghi viaggi, restò "recluso" in una piccola porzione della sua casa a Verona, ma dalla sua stanza allargò i suoi orizzonti ovunque la Chiesa richiedesse interventi.
Egli era in tutto un "prete di Dio": diceva chiaramente che la sua opera "sarà grande se sarà piccola, sarà ricca se sarà povera; avrà la protezione di Dio se non cercherà quella dell'uomo". E aggiungeva: "Scopo del vero sacerdote è accendere un piccolo fuochetto che, se la Provvidenza lo vorrà, farà estendere il suo calore e la sua luce ovunque e comunque".
Si preoccupò di scrivere e soprattutto di dare possibilità a tutti di leggere della buona stampa; pubblicò egli stesso, presso una tipografia che aveva fondato, un famoso libro: "Apostolica vivendi forma". In queste pagine denunciò i mali del tempo e cercò di far comprendere come, con l'aiuto di Dio e della divina Provvidenza, tutto si poteva "aggiustare".
Sapeva trovare il tono e la frase appropriata per rivolgersi ai sacerdoti, alle persone che potevano aiutare il popolo di Dio a ritrovare "la strada". Era preoccupato in quanto percepiva che "il mondo" si stava allontanando dal messaggio del Vangelo. Amava la chiesa, anche come "istituzione", con un amore completo, "disinteressato". Soffrì in continuazione di disagi, situazioni impossibili, ma il suo essere era dedicato tutto e solo alle opere di Dio: non aveva tempo per lagnarsi.
Il fuoco di Dio gli bruciava dentro: lo forgiava e lo spingeva verso nuove opere che spesso venivano ritenute "impossibili".
Voleva che nessuno pensasse al denaro, alle necessità materiali; percepiva che alle urgenze materiali avrebbe provveduto la divina Provvidenza.
Seppe essere vicino a tutti i bisognosi, per primo si occupò dei carcerati e credette profondamente nella missione della Chiesa rivolta ai "fratelli separati"; fondò in Italia l'Unione Medica Missionaria e fu un anticipatore di certe linee pastorali della Chiesa espresse dal Vaticano II. In particolare sul tema dei fratelli separati scrisse un agile opuscolo, "Omnes unum sint", che fece spedire ovunque, alle personalità delle chiese separate, comprese le chiese orientali e i fratelli anglicani; voleva creare attraverso la carità i contatti rivolti all'opera di unità.
Subì, anche per questa sua larga operosità, invidie e perfino ispezioni canoniche, ma non pensò mai di rallentare o di fermare la sua attività.
Gli ultimi suoi anni di vita vennero contrassegnati da persistente malattia. Chi si recava nella sua casa lo sentiva non di rado gridare per le sofferenze che il suo corpo incontrava; ma invocava continuamente l'aiuto di Dio ed esclamava: "Per me non c'è altro che Dio e non voglio altro che Dio". Il 4 dicembre 1954, il suo spirito si acquietò nella pace eterna.
Beatificato il 17 aprile 1988 è stato canonizzato il 18 aprile 1999.
La sua memoria è celebrata a Verona, sua diocesi di origine e dove visse gran parte della vita, l'8 ottobre.
(Autore: Giuseppe Gottardo, da 'Santi verso il Giubileo' - Ediz. Messaggero Padova – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Giovanni Damasceno - Sacerdote e Dottore della Chiesa (4 dicembre)

Damasco, 650 - 749
Nacque intorno al 675 a Damasco (da cui Damasceno) in Siria. Suo padre era ministro delle finanze. Colto e brillante, divenne consigliere e amico del Califfo cioè il prefetto arabo che guidava la regione. La frequentazione del monaco siciliano Cosmo, portato schiavo a Damasco, determinò in lui il desiderio di ritirarsi a vita solitaria, in compagnia del fratello, futuro vescovo di Maiouna.
Andò dunque a vivere nella «laura» di San Saba, piccolo villaggio di monaci a Gerusalemme, dove ricevette l'ordinazione sacerdotale e in virtù della sua profonda preparazione teologica, ebbe l'incarico di predicatore titolare nella basilica del Santo Sepolcro.
Tra le sue opere accanto agli inni e ai trattati teologici dedicati alla Madonna, è autore del compendio di teologia «Fonte della conoscenza» e de i «Tre discorsi in favore delle sacre immagini».
Teologo illuminato e coltissimo, si meritò il titolo di «San Tommaso dell'Oriente». Nel 1890 Leone XIII lo ha proclamato dottore della Chiesa. (Avvenire)
Patronato: Pittori
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: San Giovanni Damasceno, sacerdote e dottore della Chiesa, che rifulse per santità e dottrina e lottò strenuamente con la parola e con gli scritti contro l’imperatore Leone l’Isaurico in difesa del culto delle sacre immagini. Divenuto monaco nel monastero di Mar Saba vicino a Gerusalemme, si dedicò qui alla composizione di inni sacri fino alla morte. Il suo corpo fu deposto in questo giorno.
Riportata alla data della più antica tradizione orientale, il nuovo Calendario della Chiesa festeggia oggi la memoria facoltativa di San Giovanni Damasceno, finora ricordato il 27 marzo.
Si chiamò Damasceno perché Giovanni Mansur era nato a Damasco in Siria, e in quella città era avvenuto il suo primo incontro con la Grazia, battezzato in giovane età, perché di famiglia cristiana di
razza araba.
Nella seconda metà del VII secolo, Siria e Palestina erano sotto la dominazione araba: la famiglia di Giovanni ricopriva alte cariche nel governo della città, retta da un Califfo, cioè da un prefetto arabo, dì cui Giovanni, giovane colto e brillante, divenne consigliere e amico.
Avvenne così che il futuro Santo cristiano fosse nominato, dall'amico Califfo, Gran Visir di Damasco, con un titolo che fa pensare alle Mille e una Notte!
In quegli anni, da Costantinopoli, l'Imperatore d'Oriente Leone III decretò l'iconoclastia, cioè la dissennata e sacrilega distruzione delle immagini sacre.
Da Roma, si levò a combatterla il Papa Gregorio II, da Gerusalemme, il Patriarca Germano; da Damasco, finalmente, il Gran Visir Giovanni, funzionario del governo arabo ma al tempo stesso cristiano retto e intransigente.
L'azione di Giovanni Damasceno fu così efficace, nell'opporsi all'iconoclastia, che l'Imperatore Leone III cercò di eliminare l'avversario con l'inganno, non riuscendo a batterlo sul piano dottrinale.
Imitando la scrittura del Santo, egli vergò una lettera dalla quale appariva come il Gran Visir fosse pronto a consegnare a tradimento la città di Damasco all'Imperatore.
Questa lettera fu fatta pervenire al Califfo.
Furioso per il tradimento dell'amico, il Califfo applicò nei suoi confronti la cosiddetta "legge del taglione".
Ordinò cioè che la mano destra del Santo fosse amputata.
Ma l'arto innocente venne miracolosamente sanato, nella notte, per intervento della Madonna.
A lei, infatti, Giovanni Damasceno aveva promesso di dedicare, se risanato, l'opera della sua mano di scrittore cristiano.
Per quanto rappacificato con il Califfo, convinto dell'innocenza dell'amico, Giovanni non restò a lungo a Damasco.
Donò tutti i suoi averi, abbandonò la carica, e si ritirò a vita monastica, presso Gerusalemme, nella "Laura" di San Saba, cioè in un piccolo villaggio di monaci.
Qui tenne fede alla sua promessa alla Vergine, alla quale dedicò inni, omelie e trattati teologici.
Nelle sue opere, si confermò esegeta coltissimo, critico sicuro, apologeta efficace, teologo illuminato, tanto da meritarsi il titolo di "San Tommaso dell'Oriente".
Come campione della difesa delle immagini sacre, possiamo rileggere un brano di lui, tratto dalla sua opera intitolata appunto alle Immagini: "Va' via, Satana, con la tua invidia - vi si legge - tu che non puoi tollerare di farci contemplare l'immagine di Nostro Signore e di santificarci alla sua vista; tu che non vuoi farci considerare le sue salutari sofferenze, ammirare la sua condiscendenza, godere lo spettacolo dei suoi miracoli per trarne occasione di meglio conoscere e lodare la potenza della sua divinità.
"Invidioso dei Santi e degli onori che hanno ottenuto da Dio, tu non puoi sopportare che abbiamo sotto gli occhi la loro gloria, per paura che quella vista ci muova ad imitarne il coraggio e la fede; non puoi sopportare l'aiuto che ci ripromettiamo ai corpi e alle anime per la fiducia che in esse riponiamo". Leone XIII nel 1890 lo ha dichiarato dottore della Chiesa.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)

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*Beato Giovanni Hara Mondo - Terziario Francescano, Martire (4 dicembre)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri Giapponesi” Beatificati nel 1867-1989-2008

Usui, Giappone, ? – Tokyo, Giappone, 4 dicembre 1623
Laico della diocesi giapponese di Funai e terziario francescano, Giovanni Hara Mondo subì il martirio nella sua patria nel contesto di feroci ondate persecutorie contro i cristiani.
In seguito ad un rapido processo iniziato con il Nulla Osta della Santa Sede concesso in data 2 settembre 1994, è stato riconosciuto il suo martirio il 1° luglio 2007 ed è stato beatificato il 24 novembre 2008, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, unitamente ad altri 187 martiri giapponesi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*San Giovanni il Taumaturgo - Vescovo (4 dicembre)

Martirologio Romano: A Políboto in Frigia, nell’odierna Turchia, San Giovanni, detto il Taumaturgo, vescovo, che si adoperò molto, contro l’opinione dell’imperatore Leone l’Armeno, in favore del culto delle sacre immagini.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Girolamo De Angelis (Degli Angeli) - Martire in Giappone (4 dicembre)

Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Gesuiti in Giappone”
“Beati Martiri Giapponesi Beatificati nel 1867-1989-2008”
Enna, Sicilia, 1568 - Yeddo, Giappone, 1623
Entrato nella Compagnia di Gesù, fu ordinato sacerdote a Lisbona e partì, insieme col p. Carlo Spinola, alla volta del Giappone, dove giunse nel 1602.
Fu prima superiore della casa di Fouchimi, poi eresse la residenza di Sourounga e stava lavorando per fondarne una a Yedo quando scoppiò violentissima la persecuzione.
Nel 1614, anno in cui i missionari ebbero l'ordine di abbandonare il Giappone, egli si nascose a Nagasaki e continuò a far del bene.
Catturato e messo in carcere, dopo tormenti d'ogni genere fu ucciso il 4 dicembre 1623.
Patronato: Enna
Emblema: Palma
Martirologio Romano: In località Edo in Giappone, Beati martiri Francesco Gálvez, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, Girolamo de Angelis, sacerdote, e Simone Yempo, religioso, entrambi della Compagnia di Gesù, dati al rogo in odio alla fede.
Girolamo nacque a Enna nel 1567 da Gian Benedetto De Angelis. A 17 anni si trasferì a Palermo con il fratello Pietro per lo studio del diritto.
Qui venne a conoscenza degli "Esercizi Spirituali" di S. Ignazio da Loyola e ne rimase affascinato.
Insieme al fratello entrò nella Compagnia di Gesù e a 20 anni andò a Lisbona per imparare la lingua, difatti il giovane da qualche tempo aveva deciso di partecipare alla vita delle missioni in Oriente.

Dopo un primo viaggio, che non lo portò a destinazione ma lo riportò in Portogallo, nel marzo del 1599 partì e nei primi del '600 arrivò a Macao.
Due anni più tardi giunse finalmente a Nagasaki, in Giappone. Diresse la missione di Fushimi dal 1603 al 1614.
Il 27 gennaio 1614 il nuovo Shogùn (Primo Ministro) ordinò l'espulsione di tutti i missionari dal Giappone e per questo dovette trasferirsi in un'altra città e continuare la sua attività di apostolato segretamente.
Ma nel 1623 si insediò il nuovo Shogùn Iemitsu Tokugawa e a causa di una denuncia da parte di un apostasta arrestarono un uomo che aveva ospitato padre Girolamo a casa sua.
Allora pur di liberare quest'uomo si costituì alle autorità, insieme a lui il catechista Simone Jempo.
Durante la prigionia continuò le sue preghiere e battezzò ben otto compagni di carcere.
Il 4 dicembre 1623, dopo che assistette alla esecuzione di quarantasette condanne, anch'esso con Simone Jempo venne legato a un palo e arso vivo. Nell'ultimo momento della sua vita riuscì a slegarsi, poiché le corde si erano bruciate, e inginocchiarsi per rivolgere una ultima preghiera e un ultimo sguardo al Signore.
Il 7 luglio del 1867 il Beato Pio IX celebrò la cerimonia di beatificazione di padre Girolamo e di altri duecentoquattro martiri del Giappone dal 1617 al 1652.
A Enna nella chiesa di San Marco è custodita la sua reliquia, che è il suo teschio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Guido da Selvena - Religioso (4 o 5 dicembre)
Selvena, Grosseto, 1200 - Seggiano, 1287/8

Nacque nel 1200 a Selvena (Grosseto), divenne francescano e visse in santità profetizzando e operando miracoli. Morì nel 1287 circa nel convento del Colombaio presso Seggiano.
Il Beato era nato in Selvena (Grosseto) intorno al 1220 e aveva vissuto gran parte della sua vita nel
convento del Colombaio, presso il paese di Seggiano. Questo convento venne fondato da San Francesco nel 1220 quando ritornava da Viterbo, dove era stato a fare visita al papa Onofrio III. Il beato Guido, si aggregò alla dottrina di San Francesco, trascorrendo una vita piena di mortificazione, di rinuncia, di abnegazione, di fame, per l'amore di tutte le creature, del prossimo e soprattutto dell'Altissimo Onnipotente Buon Signore.
Tutti gli agiografi e i cronisti francescani antichi hanno scritto del nostro beato, ma colui che si è occupato maggiormente di lui è senza altro il Wadding.
Dopo infatti aver dato inizio alla ricostruzione della sua vita,  sulla scorta delle cronache e delle tradizioni scritte, esistenti presso i diversi conventi, e dopo averci avvertito che il Beato Guido, ancora novizio, «meritò di parlare dolcissimamente con Cristo», ce ne dà un più preciso resoconto ed una più vasta notizia.
E più in là, dopo aver detto come, trascorrendo il tirocinio in Siena, fu condotto, insieme ad altri giovani, alla presenza del Beato Pettinaio, perché tutti ascoltassero la sua parola sulle cose spirituali, narra lo svolgimento dei primi colloqui con il Bambino Gesù.
Per la sua grande devozione a Dio si narra, che quando il santo uomo era già carico di anni ed infermo, Dio stesso provvide a mandargli un gatto di un'affezione e di un'attaccatura singolari: ogni giorno, strappava al bosco un uccello, così che frate Francesco da Montalcino, lo cucinasse e lo presentasse
così preparato al suo compagno. Era in quel tempo l'unico suo cibo. Il giorno stesso in cui il beato morì, anche il gatto spirò ai suoi piedi. La data della morte non è sicura, si può stabilire che sia avvenuta o il 21 aprile 1287 oppure nel 1288.
Nell'antichissima chiesa di Selvena, che sorgeva a ridosso della rocca aldobrandesea di Belvedere, che fu poi demolita nel 1788, non mancò la mano intelligente, che volle affrescare l'atto del trapasso, il momento più bello e più solenne per ogni Santo, a ricordo dell'umile frate di San Francesco. Sotto al pulpito, c'era infatti una pittura di m. 1,20x0,80 con rappresentate quattro figure vestite da frate, due delle quali in atto di piangere, le altre due in piedi in atto di compassione e di osservazione verso il morto, certo beato Guido da Selvena. Sotto la pittura vi erano le seguenti parole: "Beato Guidus Silvenae", di mano recente, mentre l'affresco fu stimato essere di circa due secoli indietro.
La gente di Selvena, pur non vantando tradizioni di attaccamento liturgico nei confronti del loro Beato, lo rispetta e mantiene una certa venerazione. Sino a trenta, quaranta anni fa, era consuetudine, visitare il 4 o 5 dicembre, la zona in cui sorgeva la Chiesa di S. Bernardino del Colombaio, dove secondo il Gigli, il suo corpo sarebbe stato sepolto. Non si hanno testimonianze di miracoli e di grazie ricevute, anche se, i minatori che un tempo esistevano numerosi nella zona, non mancavano di osservare il pellegrinaggio annuale e di raccomandare la loro incolumità anche al Beato Guido.

(Autore: Stefano Fontani - Paolo Pisani – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Melezio di Sebastopoli - Vescovo (4 dicembre)

Martirologio Romano: A Sanaklar nel Ponto, nell’odierna Turchia, San Melezio, vescovo, che, già insigne per le sue doti di cultura, ancora più celebre fu per le sue virtù d’animo e per la sua integrità di vita.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Sant'Osmund di Salisbury - Vescovo (4 dicembre)
Martirologio Romano: A Salisbury in Inghilterra, Sant’Osmundo, vescovo, che, passato insieme al re Guglielmo dalla Normandia in Inghilterra e promosso poi all’episcopato, celebrò la dedicazione della cattedrale e provvide all’amministrazione della sua sede e al decoro del culto divino.
Normanno di nascita, figlio di Enrico, conte di Séez, e quindi nipote di Guglielmo il Conquistatore, Osmund seguì suo zio in Inghilterra, divenne cancelliere e prese attiva parte alla compilazione del
Domesday Book.
Divenne vescovo succedendo ad Herman, il quale aveva tenuto le antiche sedi di Ramsbury e di Sherborne, sedi che, in base alla politica generale di Lanfranco, che voleva spostare i vescovati in luoghi fortificati, erano state riunite con la cattedrale, non ancora finita, a Old Sarum, all'ombra dell'importante castello normanno.
Osmund non solo completò la cattedrale, ma formò un capitolo con costituzioni proprie che divenne più tardi modello di tutti gli altri capitoli inglesi, ed era fondato sugli usi di Bayeux in Normandia.
Il vescovo Osmund fu non soltanto un abile amministratore, ma anche uomo di interessi intellettuali e culturali. Amava copiare e rilegare egli stesso i libri; gli è attribuita, inoltre, la perduta Vita di Sant’ Aldelmo (ca. 639-709).
Aldelmo era stato abate di Malmesbury, il principale monastero della diocesi di Osmund, e più tardi vescovo di Sherborne (Dorset), dove, come Osmund, possedeva vasti possedimenti; Osmund, inoltre, presiedette alla traslazione dei resti di Aldelmo a Malmesbury nel 1078, dopo che Lanfranco aveva autorizzato, su richiesta dei Normanni, la ripresa del suo culto.
Da alcuni viene attribuita ad Osmund l'istituzione del Sarum Rite, una variante del rito romano, assai diffuso nell'Inghilterra medievale, ma gli storici moderni sostengono che l'istituzione definitiva spetta solo al vescovo Riccardo Poore (1217-1228).
Se pure non si può dare ad Osmund l'intero merito di questa riorganizzazione, occorre pur sempre riconoscere che egli le diede inizio e contribuì a diffonderla in Irlanda, in Scozia e nella stessa Inghilterra.
Guglielmo di Malmesbury apprezzava Osmund per la sua cultura e la sua purezza, giudicandolo eminente per mancanza di ambizione e di avarizia. Era rigido con gli altri, ma anche con se stesso. Morì il 4 dicembre 1099 e fu sepolto nella sua cattedrale di Old Sarum di cui si vedono ancora le fondamenta.
La canonizzazione del vescovo Osmund fu una delle più lunghe e delle più costose della storia inglese e se ne conservano ancora molti dei documenti più importanti. Nel 1228 si ottenne da Gregorio IX un Bolla che dava inizio all'inchiesta preliminare sulla vita e sui miracoli. La causa non giunse in porto per varie ragioni, ma nuovi tentativi per ottenere la canonizzazione furono fatti nel 1387 e nel 1406.
Nel 1416 i canonici di Salisbury destinarono un decimo dei loro redditi per sette anni a questo scopo; si presentarono altre petizioni sostenute dai re Enrico V e Enrico VI; altre commissioni investigarono sui miracoli, ma nel 1452 la questione non era ancora risolta.
Finalmente, nel 1456, Callisto III procedette alla canonizzazione e da documenti che si conservano ancora sappiamo che il suo costo fu di «731-13-0» sterline, una somma enorme per quei tempi. Poco dopo avvenne la traslazione del corpo del Santo nell'attuale cattedrale: fu edificato un sepolcro nella cappella di Nostra Signora e parti di questo e della tomba originale si conservano ancora.
I miracoli compiuti per intercessione di Osmund comprendono casi di ernia, paralisi e pazzia; è specialmente invocato contro il mal di denti.
La festa si celebra il 4 dicembre.
(Autore: Hugh Farmer – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Beato Pier (Pietro) Pettinaio - Terziario Francescano (4 dicembre)

Campi, Siena, ? - Siena, 4 dicembre 1289
Questo è un Beato laico. Fabbrica e vende pettini; di qui il soprannome. È nato in data incerta a Campi, poi la sua famiglia si è trasferita nella vicina Siena. Sposato, ma senza figli, diventa proprietario di una casa e di una vigna, e si fa presto notare per la generosità anche verso i concorrenti: nei giorni di mercato, arriva tardi a vendere per non danneggiarli troppo.
Ma non è mai in ritardo all’ospedale di Santa Maria della Scala, dove medica ferite e piaghe; né alle funzioni in chiesa; né alle case povere, dove porta aiuti insieme a otto amici (mercanti e uomini di legge). Non lascerà scritti: anzi, saranno famosi i suoi silenzi, tant’è che spesso lo vediamo raffigurato con un dito sulle labbra. Ma le poche cose che dice (e le molte che fa) devono avere un’efficacia eccezionale.
Al punto che certi trafficoni, dopo aver frodato la città, riconsegnano il denaro a lui, che lo restituisce al Comune.
E il Comune lo chiama spesso per incarichi di fiducia; nel 1282 gli fa perfino scegliere i cinque detenuti da amnistiare. I francescani di Siena, quando hanno dubbi sull’autentica vocazione dei loro
novizi, li fanno esaminare da lui. Alla sua vita si ispirano i più rigorosi seguaci di Francesco d’Assisi, gli “spirituali”. L’oratore domenicano Ambrogio Sansedoni, futuro beato, rinuncia a diventare vescovo perché così l’ha consigliato lui.
Rimasto vedovo, vende casa e vigna per soccorrere i poveri, e vive gli ultimi anni ospite dei francescani, che seppelliranno poi il suo corpo nella loro chiesa. Spontaneamente i senesi invocano il suo aiuto e gli attribuiscono grazie e prodigi.
Anche il Comune lo onora subito come beato. La conferma canonica del culto, invece, arriverà solo nel 1802. Ma già nel Trecento l’efficacia della sua preghiera è stata esaltata da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Purgatorio, canto XIII), dove fa dire alla nobildonna senese Sapìa Tolomei: "Io non mi sarei convertita se lui non si fosse ricordato di me". La sua tomba fu poi distrutta da un incendio e di lui restò solo un braccio, conservato dalle clarisse di Siena.
Martirologio Romano: A Siena, Beato Pietro Pettinario, religioso del Terz’Ordine di San Francesco, insigne per la particolare carità verso i bisognosi e gli infermi e per la sua vita di umiltà e silenzio.
Dicono che Pietro è onestissimo e già questo, con i tempi che corrono, basterebbe a fare di lui una persona eccezionale. Ma di lui si dicono tante altre cose; ad esempio, che è generoso oltre misura; che non ha paura di sporcarsi le mani nell’assistere i malati, che ispira e merita fiducia. Sembra sia di origini fiorentine, probabilmente di Campi, dove è nato forse nel 1189.
A Siena si è trasferito giovanissimo e qui impara il mestiere di costruire pettini, d’osso o di corno, per scardassare la lana e per il telaio della tessitura. A Siena, in quello che allora si chiamava vicolo della Calcina e che adesso è intitolato a lui, viene indicata ancora oggi quella che la tradizione vuole sia stata la sua bottega.
Qui “si fa i soldi” e gli antichi catasti lo descrivono proprietario di una casa e di una vigna. A Siena, però, Pietro si “converte” anche. Non sappiamo come, non sappiamo quando, ma sicuramente, ad un certo punto della sua vita, si accorge che nella vita i soldi non sono tutto. Forse ad operare questo suo cambiamento è l’incontro con la spiritualità francescana che si sta diffondendo e che lo permea a tal punto da fare di lui, da tranquillo borghese, un santo laico in piena regola.
A cominciare dal lavoro, in virtù del quale gli hanno attribuito il soprannome “Pettinaio”. Dicono che a comprare i suoi pettini vada anche a Pisa e li compra a dozzine, ma prima di tornarsene a casa, passando sul ponte vecchio della città, li controlla minuziosamente uno ad uno e, man mano che ne trova di non perfettamente costruiti o rovinati, li getta in Arno.
C’è qualcuno che, facendo appello al comune buon senso, gli fa notare che non sarebbe una frode vendere quei pettini sottocosto, come “merce fallata”, e ricavarne comunque un qualche utile, ma Pier Pettinaio, imperterrito, continua ad accuratamente controllare la sua merce prima di metterla in vendita, perché non vuole che nessuno riceva un danno dal suo commercio.
E quello che potrebbe essere un danno per lui, si dimostra invece un’ottima referenza, che gli fa meritare la fama di miglior venditore del mercato senese. Allora, per non approfittare anche di ciò, ne inventa un’altra delle sue: arriva appositamente in ritardo a montare il banchetto sul mercato, per non fare troppa concorrenza ai colleghi. Non tutti capiscono e apprezzano questa sua strategia, ma a Pier Pettinaio basta essere a posto con la sua coscienza di commerciante che non cerca un ingiusto profitto dal suo lavoro.
Il resto del suo tempo lo dedica al servizio dei malati, chinandosi a curare le piaghe più ripugnanti e a svolgere i servizi più umili, soccorrendo chiunque ha bisogno e donando generosamente del suo, perché ritiene giusto che i miserabili prendano parte della piccola fortuna che è riuscito onestamente a mettere da parte. L’amministrazione pubblica gli affida incarichi di fiducia, gli fa scegliere i prigionieri da annualmente riscattare e gli fa individuare i poveri cui assegnare un’elemosina pubblica particolare.
Ed altrettanto fanno i suoi compaesani, come i trafficoni e gli evasori, che lo scelgono come intermediario per saldare i loro debiti con il fisco cittadino, mentre i francescani si affidano al suo discernimento per pronunciarsi sulle vocazioni “dubbie”.
Non si tramandano suoi discorsi o proclami, piuttosto sono famosi i suoi silenzi, tanto che la sua scarsa iconografia lo rappresenta sempre con un dito sulle labbra, quasi a fare di lui il “santo del silenzio”. Le biografie non sono concordi sulla sua vita matrimoniale, e così c’è chi gli attribuisce quattro figli e chi nessuno. Certo è che ad un certo punto della sua vita si trova vedovo e solo e allora cerca ospitalità nel convento dei Frati minori di Pisa. Terziario Francescano, si spoglia di tutti i suoi beni, mentre cresce la sua fama di santità e gli si attribuiscono miracoli e profezie.
Perfino Dante lo cita nel XIII canto del Purgatorio, attribuendo alle sue “sante orazioni” la salvezza dell’anima della nobildonna Sapia Salvani. Pellegrina più volte nei luoghi di San Francesco fino a che le forse glielo permettono. Sigillato poi nell’immobilità assoluta da una lunga malattia, che accetta e vive con la pazienza dei santi, muore centenario il 4 dicembre 1289.
Un secolo dopo Siena lo invoca già suo protettore, ha istituito una festa solenne in suo onore il 4 dicembre e sono testimoniati pubblici pellegrinaggi sulla sua tomba. Che nel 1655, però, viene distrutta da un incendio e va così dispersa,: ma non la sua memoria, cosicché Pio VII, il 2 gennaio 1802, riconosce ufficialmente il culto del Beato Pier Pettinaio.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Santi Raimondo di San Vittore e Guglielmo di San Leonardo - Martiri Mercedari (4 dicembre)

+ 1242
Originari di Francia, i Santi Raimondo di San Vittore e Guglielmo di San Leonardo, visitarono frequentemente gli schiavi detenuti nelle carceri in Andalusia (Spagna).
Convertirono molti infedeli alla verità cattolica finché furono presi dai mori che accecati dall'odio verso la religione di Cristo invano tentarono di costringerli a rinnegare il loro credo.
Così dopo crudeli percosse furono decollati ed esultanti raggiunsero la gloria dei martiri del Signore offerti come incenso prezioso, nell'anno 1242 a Lorca.
L'Ordine li festeggia il 4 dicembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Raimondo di San Vittore e Guglielmo di San Leonardo, pregate per noi.

*San Sigiranno (Cirano) - Abate nel Berry (4 dicembre)

Sec. VII
Martirologio Romano: Nel territorio di Bourges, sempre in Francia, San Sigiramno, monaco, pellegrino e abate di Lonrai.
Si chiamava Sagiranus, nome che venne poi contratto in Siràn, dal quale deriva la forma italiana di Cirano. Visse in Francia, nel VII secolo, e la sua vita ci è stata narrata, con ricchezza di particolari, da un biografo di età posteriore, ma sulla scorta di notizie certamente degne di fede.
Figlio di un nobile del Berry, che poi doveva diventare Vescovo di Tours, venne educato nella città di San Martino e si guadagnò la protezione dei Maestro di Palazzo del Re di Borgogna. Fu così introdotto a Corte, dove sembrò destinato a una brillante carriera, anche perché il padre si era preoccupato di fidanzarlo con una fanciulla di ottima famiglia, quello che si dice un buon partito.
Un bel giorno, invece, Cirano lasciò la Corte, la fidanzata e le ambizioni mondane, per ritornare a Tours, non presso il Vescovo suo padre, ma sotto la diretta guida e protezione di San Martino, facendosi devoto eremita presso la sua sepoltura.
Più tardi venne accolto tra il clero della città, ed era Arcidiacono quando il Vescovo padre morì. Il successore, vedendo che l'Arcidiacono Cirano dava fondo al patrimonio familiare per aiutare i poveri, lo ritenne un pazzo e lo fece rinchiudere.
Morto il Vescovo (proprio durante un attacco di follia furiosa!) Cirano fu di nuovo libero, ma si sentì sopportato a malincuore. Lasciò allora Tours per unirsi al Vescovo Flavio, strano tipo di irlandese vagante, che conduceva una sua piccola ma fervente comunità religiosa in giro per i santuari europei. In mezzo a questa strana comunità, senza fissa dimora, Cirano si avviò verso Roma, e per strada studiò, predicò, insegnò e lavorò nei campi come gli altri compagni, per guadagnarsi la vita.
Tornato in Francia, venne incoraggiato a fondare un monastero in una solitaria località detta Longoritus, presso un fiume ricco di pesci. La nuova comunità di San Cirano, ordinata secondo la Regola benedettina, crebbe e prosperò, grazie anche all'insperato contributo del fiume pescoso.
Avveniva infatti che ogni mattina l'abate si recasse a pescare per provvedere alle necessità della comunità. E ogni mattina, secondo quanto si racconta, il Santo pescava esattamente tanti pesci quanti erano i suoi monaci, o qualcuno in più, per i poveri del paese.
Una mattina però, pesca e ripesca, il numero dei pesci rimase inferiore di uno rispetto al numero dei monaci. San Cirano comprese che uno dei confratelli si era reso colpevole di qualche mormorazione.
Un rapido interrogatorio confermò i suoi sospetti: un giovane monaco gli si gettò ai piedi, confessando di aver augurato all'abate pesche meno propizie. Il pesce che non mancava mai sulla mensa monastica rendeva la dieta molto monotona, un po' troppo per i gusti del giovane religioso.
San Cirano lo redarguì bonariamente, e seguitò a pescare. Ma allora, un gruppo di monaci a lui contrari lo accusarono di disertare il monastero per il fiume. Mormorarono addirittura che l'Abate si arricchiva segretamente, vendendo i frutti della sua pesca.
San Cirano non smentì la calunnia, ma preferì allontanarsi, riprendendo la sua vita di monaco errante e seguitando a guadagnarsi la vita pescando.
Per questo suo vagabondare, non si sa bene dove morisse, né in che anno. Si sa però che il suo culto si diffuse presto attorno al monastero da lui fondato, che prese da allora il nome di Saint-Cyran, in onore del Santo paziente e prodigioso pescatore.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
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*Beato Simone Yempo - Martire nel Giappone (4 dicembre)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri Giapponesi” Beatificati nel 1867-1989-2008

Notzu, Findo, 1580 - 1623
In gioventù entrò in un monastero buddista, ma successivamente abbracciò la fede cattolica. Durante le persecuzioni in Giappone, fu catturato e condannato al rogo.
Emblema: Palma
Martirologio Romano: In località Edo in Giappone, Beati martiri Francesco Gálvez, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, Girolamo de Angelis, sacerdote, e Simone Yempo, religioso, entrambi della Compagnia di Gesù, dati al rogo in odio alla fede.
Nacque nel 1580 a Notzu, nel regno di Findo, la sua giovinezza trascorse in un monastero come bonzo, ma quando il suo capo si convertì al cristianesimo, anche Yempo lo seguì in questa nuova religione.
A 18 anni nel 1598 entrò in un seminario dei gesuiti per essere preparato come catechista, primo e necessario impegno per i nuovi convertiti che avessero voluto partecipare di più all’evangelizzazione e prendendo il nome di Simone.
E come catechista per 25 anni operò con tanto zelo da convertire tanti suoi connazionali al cristianesimo, fu un valido collaboratore del padre gesuita Girolamo degli Angeli e quando questo, scoperto dopo una spiata di un rinnegato, volle recarsi a Yedo per presentarsi alle autorità per salvare la famiglia che l’aveva ospitato, Yempo lo accompagnò.
Furono entrambi rinchiusi nelle prigioni di Yedo insieme ad un’altra cinquantina di cristiani; anche nella prigione il padre gesuita e il suo catechista poterono predicare e operare conversioni fra i carcerati pagani.
A fine 1623, venne l’ordine di condannare a morte i cristiani detenuti nelle carceri, la Grande Persecuzione proseguiva; furono tutti bruciati vivi, parte il 4 dicembre, parte il 14 dicembre, insieme a loro trovò il martirio il beato padre Francesco Galvez francescano. Beatificato con altri 204 martiri del Giappone da Papa Pio IX il 7 luglio 1867.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Sola - Eremita (4 dicembre)

Martirologio Romano: Nel monastero di Ellwangen nella Baviera, in Germania, San Sola, sacerdote ed eremita.
La “Vita” di questo santo eremita fu scritta una sessantina d’anni dopo la sua morte dal diacono Ermanrico, che fu poi abate di Ellawangen sita nella diocesi di Augsburg di Germania, e che è giunta fino a noi.
San Sola (Sualo o Sol, in francese), fu uno di quei monaci irlandesi che verso il 742 giunse in Baviera attratti dalla fama di San Bonifacio, l’arcivescovo apostolo delle Germanie. Delle origini di San Sola non sappiamo altro.
Giunto in Baviera verso il 742, a piedi naturalmente, conosciuto San Bonifacio, San Sola volle porsi sotto la sua tutela ed essere suo aiutante.
San Bonifacio, per lo zelo e le virtù dimostrate, volle ordinare San Sola sacerdote.
Per qualche tempo restò a fianco di san Bonifacio, ma ben presto si accorse di nutrire una vocazione per la vita solitaria e contemplativa. Pertanto, col beneplacito di san Bonifacio, si volle ritirare in un
eremo situato presso le rive dell’Altmühl, ai confini tra la Baviera e la Turingia, nella diocesi di Eichstätt.
Qui ben presto divenne amico del vescovo della città, Willibaldo, e di suo fratello Winibaldo, suoi compatrioti, che lo assistettero e aiutarono.
La gente dei dintorni dell’eremo cominciò a venerarlo come un santo, anche per i molti miracoli che gli venivano attribuiti, e a fargli donazioni di terreni, tanto che col passar del tempo dovette divenire una sorta di direttore di una impresa agricola.
Persino Carlo Magno, al cui orecchio era arrivata la sua fama, volle donargli delle proprietà.
Non potendo più occuparsi da solo di tutti quei beni, San Sola affiliò il suo eremo, creato prioria, alla celebre abbazia di Fulda e si rinchiuse in una cella. Dopo anni di penitenza, la sua lunga vita terminò il 4 dicembre 794. San Sola fu sepolto nella cappella della sua prioria.
Verso l’anno 845, il priore dell’eremo di San Sola, Gontrano, che era nipote del celebre Rabano Mauro, fece abbellire i sepolcro del Santo visto i numerosi pellegrini che vi accorrevano e fece scrivere la Vita dal dicono Ermanrico, come già detto.
Ancora oggi viene conservata la corrispondenza intercorsa tra Gontrano e Ermanrico, che risulta essere un prezioso documento sul culto dei santi nel IX secolo.
San Sola è stato dichiarato patrono della città di Eichstätt. A Fulda e nella diocesi di Eichstätt il Santo viene festeggiato il 5 dicembre.
(Autore: Francesco Roccia – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Altri Santi del giorno (4 dicembre)

*San
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